31/10/11

la prima

Siamo entrati che lo stadio era già pieno, la partita sarebbe iniziata da lì a poco. Ho cominciato a tremare e non ho smesso fino all'uscita. Non so nemmeno che cazzo di partita mi abbiano portato a vedere, ero troppo impegnato a tremare. Insomma, avrò avuto sei anni e tutta quella gente, insieme, che urlava e sventolava, rimane una delle rare emozioni che io ricordi con gioia in un'infanzia di merda. Mi sono fatto l'idea, quel giorno, che se sei maschio eterosessuale e italiano non può non piacerti il calcio, scherzo non sono omofobo, può piacere anche a te. Vabbè qualche cosa avrei dovuto anche dire per arrivare al punto e siccome mi sono incartato, vado. A me sta profondamente sul cazzo la piega che ha preso questo sport che sempre più somiglia a uno di quei programmi di merda in cui la gente va a piangere, ridere, incazzarsi davanti ad una telecamera. Va a far finta di vivere. Calciatori che sembrano essere stati colpiti da una vangata che ottenuto il fallo sgambettano allegri con i loro scarpini oro o magenta, pluritatuati, con fascetta nei capelli e che al gol mettono in piedi coreografie Don Luriesche, ad uso delle telecamere, per dire alle loro veline che sono innamorati o ai loro viziati pargoli che li culleranno qualche minuto prima di restituirli alla tata. E poi l'abuso delle parole, sono tutti Campioni. Un campione è chi ha vinto qualcosa, lei è un campione che con tutto l'oro che ha vinto si potrebbe risanare il debito greco, oppure lui che, per dio e guccinianamente ripeto per dio, quando esultava faceva sembrare L'urlo di Munch il ritratto di una checca isterica.
Per quale squadra tifo col cazzo che ve lo dico, non sono mica di quelli che si tatuano il gladiatore, vivono con una cagna al collo e arredano l'auto con ridicoli bruchi giallorossi.